Nicola Ghezzani

Foto di Nicola Ghezzani

Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Josephine Hart: “L’oblio”

Chiunque nasca a morte arriva
nel fuggir del tempo

dice Michelangelo in un passo delle sue Rime. E ancora, in un sonetto fra i suoi più belli, inviato al Vasari nel 1554, scrive:

Gli amorosi pensier, già vani e lieti,
che fien or, s’a duo morti m’avicino?
D’una so ’l certo, e l’altra mi minaccia.
Né pinger né scolpir fia più che quieti
l’anima, volta a quell’amor divino
ch’aperse, a prender noi ’n croce le braccia
Foto di Josephine Hart

Ora che a doppia morte m’avvicino, dice Michelangelo, paventando non solo la “prima morte”, la morte del corpo, ma anche la “seconda morte”, quella dello spirito, la più temuta, né il dipingere né lo scolpire possono darmi pace: l’opera è nulla di fronte alla morte e alla imperscrutabile volontà divina. Nella sua ansiosa valutazione, egli temeva di scomparire dalla memoria degli evi futuri, di svanire come nebbia al sole, di essere dimenticato, vedendo così compirsi l’angosciata profezia della morte dello spirito, la morte della sua presenza artistica sulla terra. Lo scultore, pittore, architetto, ingegnere, poeta, il genio assoluto Michelangelo Buonarroti temeva di scomparire dalla memoria futura, dalla nostra memoria, nonostante le opere titaniche che aveva realizzato!

Quanto sforzo ci vuole per diventare relativamente immortali! Michelangelo lo sapeva bene. Lo sapeva perché non era inconsapevole dei suoi rivali. Sapeva di doversi confrontare con gli immensi geni greco-romani e rinascimentali che l’avevano preceduto e con quelli barocchi che l’avrebbero seguito. Eppure, forse proprio a causa di questa sua stringente consapevolezza, rimase immortale: relativamente immortale persino lui, perché dell’assoluto non sappiamo nulla.

Il tema dell’immortalità laica tocca la riflessione contemporanea con una nota resa più dolorosa dalla coscienza di venire “dopo” e di abitare un mondo strutturato da poteri immensi, un mondo che non ci vuole. Josephine Hart scrive, nel suo romanzo L’oblio, una triste e sconsolata elegia delle opere che non dureranno, le opere che scompariranno, fra le quali mette in prima linea le sue. E lo fa con più amaro cinismo dell’immenso Michelangelo, il quale consumò la vita non a leggere le opere altrui, come fa il letterato moderno, o a spiare e invidiare le pitture e le sculture dei rivali, come fanno tanti artisti, ma a dare ogni stilla di sangue al compimento della propria visione. Come potrebbe, infatti, essere triste e sconsolato colui che è spinto da un demone a bruciare se stesso per dar luce a un’idea, l’unica in grado di conferire alla sua vita un senso? Eppure, da Michelangelo a oggi, la riflessione sulla morte e la scomparsa spirituale è incessante.

Con L’oblio ci si trova impegnata anche Josephine Hart. Ecco la trama del romanzo. Andrew Bolton è un giornalista televisivo, vive nell’effimero. Ed è vedovo. Gli è morta da pochi mesi l’amata moglie Laura. In un passo ben poco originale, il nome della moglie gli ricorda l’altra Laura, quella di Petrarca, che in vita e in morte fu l’idea del poeta, la sua unica, immensa idea, che perseguì con inflessibile tenacia e che gli conferì l’immortalità. Il dramma di Andrew è in verità opposto a quello di Petrarca e si compie allorché s’innamora di Sarah, una giovane collaboratrice televisiva, che lo mette per la prima volta nella condizione di dimenticare la moglie morta. Dimenticarla come ci dimentichiamo, appunto, delle cose futili o persino inutili, delle persone comuni, delle opere destinate all’oblio.

Andrew non è Petrarca, che ricorda con incredibile vigore, in preda a una sacra ossessione. Andrew è un uomo qualunque e sta per dimenticare la sua Laura ad appena pochi mesi dalla morte.

A questo punto, primo colpo di scena, il suocero gli fa dono del diario della moglie, la madre di Laura. Si tratta di un terribile grido di dolore: la madre che si vede orbata della vita della sua unica opera – Laura è figlia unica – mentre le altre madri continuano a godere dei loro figli. E questo grido di dolore viene raddoppiato dalla certezza che la figlia verrà dimenticata anche dal marito, da Andrew, di cui spia l’avvicinamento a Sarah, la nuova fiamma. Andrew però non vuol saperne nulla di questo dolore, così ovvio e così banale, e restituisce il diario al suocero. Ed ecco che un secondo colpo di scena rafforza il messaggio celato nel diario e svela così l’idea centrale del romanzo: Catherine Samuelson, una drammaturga molto in voga, accetta di fare un’intervista con Andrew. Tutto il corpo centrale de L’oblio ruota intorno a questa intervista e soprattutto alla nuova opera teatrale di Catherine, alla cui prova generale Andrew è invitato ad assistere.

Foto di Josephine Hart

L’opera teatrale della Samuelson è un lungo lamento sulla scomparsa dei morti, composta com’è dai monologhi di defunti ai quali un mentore, anche lui morto, chiede di narrare la propria storia. Sono storie di varia natura e complessità, monologhi e agnizioni di personaggi talvolta labili, talaltra incisivi, nessuno dei quali viene degnato della possibilità di divenire memorabile. Tutte queste storie scompariranno. Tutte queste vite saranno dimenticate. Nell’opera, la drammaturga Catherine Samuelson celebra l’invidiosa consapevolezza che lei stessa, il suo stesso corpus drammatico, scompariranno, come quei morti effimeri di cui nessuno serberà memoria. Quando non sarà più nella cronaca di quel salotto borghese che è la società letteraria contemporanea, anche lei svanirà come una pallida ombra del regno dei morti.

Ed è questa la morale ultima del romanzo L’oblio di Josephine Hart: nel nostro cuore più intimo, tutti noi, credenti e non credenti, tutti noi che ambiamo a lasciare un segno (non la massa di ombre nate per il nulla, cui fa da pendant la consolazione religiosa) siamo in fondo rimasti vincolati alla visione greca e romana di un mondo dei morti nel quale si persiste per il breve lasso di tempo nel quale si verrà ricordati, poi più nulla: the rest is silence. A questa morale millenaria dà l’avvio, sopra tutti, il genio di Omero – seguìto in una consapevole mimesi da Virgilio e Dante. Omero manda Ulisse a chiedere conto della vita dopo la tomba, e scopre che dureremo solo il tempo della memoria. Come le opere degli eroi e degli artisti. Con stringente consapevolezza, Catherine Samuelson, alter ego di Josephine Hart, ha confidato ad Andrew che Alcune scene [delle sue opere] reggevano ma si capiva che le pièces non avrebbero resistito al tempo.

L’oblio

Alla fine, come è ovvio, Andrew cede a Sarah, che lo corteggia paziente come la morte, perché dimentichi la morta Laura ed acceda all’unica vita che la sua debole energia gli può concedere: una vita anonima, scritta da altri, una vita che è già una morte.

L’oblio non è un romanzo che possa stare accanto a un dramma minore di Shakespeare, al più breve racconto di Dickens o a un’analisi psicologica o estetica di Walter Pater o di Virginia Woolf. Non ha un posto nella grande letteratura inglese. Certo quella della Hart è letteratura raffinata, colta, altamente problematica; eppure, alla fine, si rivelerà solo come buona letteratura di intrattenimento. E l’autrice nel romanzo se ne mostra consapevole. Direi persino troppo consapevole.

Josephine Hart – morta nel 2011 per un tumore, a soli 67 anni – ha firmato un paio di piccoli capolavori: Il danno e Ricostruzioni. Eppure, ne L’oblio ella si mette in mostra senza i paludamenti del pudore: è consapevole che la memoria della sua opera non durerà. È una consapevolezza dolorosa e per nulla velata, che, condivisa da noi comuni mortali, la rende commovente e la nobilita. Il canto di scomparsa che accompagna questo suo romanzo intriso di tristezza nasce da una genuina ispirazione poetica e, al di là delle incertezze bozzettistiche della trama, fa sì che esso lasci un fondo di desolata amarezza e meriti per questo di essere letto.