Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Agorafobia

Etimologia

L’etimologia è una scienza suggestiva, perché non si limita a dirci l’origine della parole, ma anche a restituirci il “sapore” che quella parola aveva per gli antichi. Agorafobia è un termine composto e deriva dalla giustapposizione dei vocaboli greci agora, che significa “piazza” (nel mondo greco antico la piazza era il luogo di incontro dei cittadini liberi) e phobos, che significa “paura”. Presa alla lettera, dunque, la definizione è molto precisa: l’agorafobia è la paura di affrontare gli spazi aperti e quindi, in senso lato, la paura di essere o divenire liberi.

Il sapore del termine è dunque sapiente: chi ha coniato il termine ha intuito che la paura dell’agorafobico si articola su due piani: il primo è quello vissuto e riguarda la paura degli spazi aperti, dei quali la piazza è un rappresentante; il secondo è simbolico e riguarda il timore-desiderio di essere liberi nella coscienza critica, liberi di spaziare in lungo e in largo nel pensiero e nell’azione (e quindi negli affetti), come gli oratori politici nell’antica piazza della democrazia greca, che dibattevano e criticavano pur restando dentro una griglia elementare di regole civiche.

Agorafobia: la paura di vivere in libertà

Mentre la vita quotidiana della maggior parte dell’umanità subisce accelerazioni sempre più frenetiche e vertiginose, esiste una porzione della popolazione globale che si ferma atterrita di fronte a uno spazio aperto o alla sola idea di uscire di casa. Sono gli agorafobici.

“Torso — edificio su scacchiera”

Un uomo esce di casa, passeggia su una via in direzione di una piazza, oppure prende l’auto e attraversa un viadotto sospeso sul vuoto ed ecco che viene assalito d’un tratto da sintomi terrificanti: tremori, palpitazioni, sudori freddi, sentimenti di irrealtà e paura di perdere il controllo sul corpo, sulla mente o magari sull’auto che sta guidando ad alta velocità. È il panico agorafobico, che ha per oggetto gli spazi aperti, il vuoto, i movimenti accelerati, la sola idea di compiere viaggi o di affidarsi ai mezzi pubblici. In conseguenza dell’agorafobia, tutto ciò che inerisce la libertà personale viene pian piano inibito e represso. Chi ne soffre può in breve tempo costringersi a vivere, a scopo di difesa, nel chiuso della propria casa, dove può tuttavia scoprirsi attaccabile dal più paradossale dai panici agorafobici: lo spazio buio e illimitato del mondo psicologico interno: il terrore della solitudine!

Dopo molti anni di attività clinica e molti libri pubblicati sull’argomento, sono arrivato alla conclusione che un individuo soffre di panico agorafobico perché associa la propria libertà a fantasie inconsce contrarie alla sua morale, di tipo aggressivo, distruttivo o trasgressivo, fantasie che egli teme che la confidenza con la libertà possa portare allo scoperto.

Un esempio. Una giovane donna, che ha subito da bambina e da ragazza esperienze di vita tipiche di una famiglia tradizionale, dove il padre ha sempre dominato la donna anche attraverso manifestazioni di violenza, è ora sposata con un uomo introverso e scontroso. Lo ha sposato forse anche invaghita, ma in realtà, soprattutto, per sottrarsi alla cupa atmosfera della sua famiglia di origine. Il marito lavora come guardia giurata e maneggia le armi che ha in dotazione e questo a lei, che ha un animo sensibile, non piace, le dà un oscuro turbamento. Lei non lavora, ma coltiva un sogno di eccellenza letteraria, infatti ha appena cominciato a scrivere un romanzo. Un giorno, i due escono insieme per andare in visita da amici. Lei è scontenta di essere portata in auto da lui, ma si affida. Il ritorno è cupo e triste. Il marito ha fatto battute poco felici sulla condizione della moglie, disoccupata e mantenuta da lui, e la donna si sente ora umiliata e offesa.

A un certo punto si trovano a percorrere una strada buia, il marito sembra aver perso la direzione e rimprovera la moglie di non avergli dato qualche buon suggerimento. In quell’istante, la donna comincia a provare un’oscura sensazione di soffocamento. Il cielo sembra piombarle addosso; la macchina è chiusa e lei non può uscirne, tanto più che il marito è irritato e indispettito e le appare d’un tratto remoto e enigmatico. Il petto comincia ad ansimare, i pensieri corrono all’impazzata, la paura invade la mente ed ecco che esplode repentina una crisi di panico: terrore, tremori, sudori freddi, palpitazioni...

“L’urlo”

È accaduto che mentre da un lato la donna tenta in ogni modo di farsi andar bene il matrimonio, fatto in realtà per uno scopo strumentale, con una parte della sua mente ella detesta quell’uomo. Le sembra la riedizione in peggio del padre. Arriva a odiarlo. Chiusa nell’auto, ma proiettata nella libertà di un’incombente reazione rabbiosa, sta per esplodere: fantasie di tradimento o di conflitto e separazione si addensano da giorni... Ma che prezzo pagherebbe a una simile reazione? Il panico interviene a bloccare una pericolosa deriva, che mettendola dalla parte del torto potrebbe precipitarla nella rovina.

Questo esempio illustra una dinamica di ordine generale.

Il panico agorafobico è classificato nella categoria del DAP, il Disturbo da Attacchi di Panico, di cui costituisce il sintomo più frequente. Chi ne soffre vive, in modo inconscio, problematiche di ordine morale circa il significato da dare alla libertà personale, come la ragazza dell’esempio che esita di fronte alla libertà di ribellarsi al marito e finire sola e abbandonata: il marito, che forse non merita neanche tutto l’odio che ella ha accumulato nel corso della vita.

E mentre il mondo corre in ogni direzione, indifferente a cinismi e trasgressioni, gli agorafobici si fermano atterriti dalla prospettiva della libertà, in un contromovimento che ha del paradossale.

Il disturbo è oggi curabile in vari modi. Tuttavia, suggerirei agli operatori del campo di curarlo ponendo la massima attenzione alla singolare dimensione morale che esso nasconde.

Psicodinamica

Di questa sindrome esistono descrizioni psichiatriche esaurienti da più di un secolo. Cito Westphal (1872, in 4)

Quando i malati devono attraversare una piazza, si trovano in una strada deserta, dinanzi a lunghe file di case alte ed in occasioni simili insorge in essi un forte sentimento di angoscia, una vera paura mortale, accompagnata da tremore, oppressione al petto, palpitazioni, sensazioni come di gelo o di calore, che salgono al capo, traspirazione, sensazione di essere attaccati al suolo, oppure da una debolezza delle estremità simile a paralisi, con il timore di cadere.

D’altra parte, la definizione dell’agorafobia come paura della libertà è nel contempo una definizione generica e non priva di insidiose ambiguità. Libertà di cosa? Libertà da cosa?

A considerare il fenomeno con più attenzione, la condizione di angoscia e di panico agorafobici si realizza non solo in senso generico, cioè approssimandosi a spazi aperti, ma anche in senso specifico, cioè allontanandosi da quei luoghi o quelle persone che integrano l’identità del soggetto. Infatti, si può avere una sensazione agorafobica anche da soli in casa, nel momento in cui si percepisce la propria radicale solitudine e l’assenza degli abituali rumori di riferimento. Questa esperienza sta al cuore della agorafobia: indica che l’oggetto dell’angoscia non è la libertà intesa in senso generico; l’oggetto dell’angoscia agorafobica è la libertà intesa come isolamento dal proprio contesto umano di riferimento: la libertà, dunque, intesa come perdita, provocata o subita, del bene supremo costituito dalla socialità.

Se la libertà in se stessa viene intesa dal soggetto agorafobico nel senso della paura di perdere la socialità di riferimento ciò non può dipendere che da un unico fattore psicologico: il soggetto è strutturato su un sistema morale che gli fa avvertire intima contraddizione fra la sua appartenenza ad un determinato sistema sociale (sistema di affetti e di valori) e una libertà da egli stesso pensata in termini opposti a quel sistema. A questo punto, il sistema morale esprime attivamente la sua “volontà”, si manifesta cioè come super-io, e proibisce al soggetto quella libertà. Ovviamente non proibisce ogni libertà, bensì solo quella oggettivamente in attrito col sentimento di appartenenza sfidato; solo di conseguenza, e per generalizzazione, ogni altra libertà che evochi la prima.

L’agorafobia, dunque, proibisce la libertà in astratto, cioè in termini generali, solo nella misura in cui questa rappresenta la libertà in concreto pensata dal soggetto: quella antitetica al suo sistema morale profondo, il sistema che media gli interessi altrui nella sua personalità. Lo scioglimento del nodo agorafobico sta tutto qui. 1


Bibliografia

  1. Nicola Ghezzani, Uscire dal panico, Franco Angeli, Milano, 2000.
  2. Nicola Ghezzani, La logica dell’ansia, Franco Angeli, Milano, 2008.
  3. Nicola Ghezzani, A viso aperto, Franco Angeli, Milano, 2009.
  4. Karl Jaspers, Psicopatologia generale, Il pensiero scientifico, Roma, 1964 (ed. orig. 1959).