Nicola Ghezzani

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Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Disturbi alimentari

Un’analisi psicologica

“Maternità”

I disturbi dell’alimentazione colpiscono ogni fascia di età, ma quella adolescenziale in modo particolare. Crisi e conflitti dell’adolescenza trovano, infatti, nei comportamenti alimentari una manifestazione sintomatica tipica. Il conflitto col genitore accudente o con l’intera famiglia, le insicurezze nei compiti sociali ed esistenziali e nella ricerca di autonomia hanno un immediato riscontro nel rifiuto o nell’assunzione smodata di cibo.

L’anoressia, la bulimia e l’obesità sono i disturbi del comportamento alimentare più importanti e noti, ma ne esiste una varietà più ampia che oscilla fra situazioni di normali crisi evolutive e quadri patologici.

I disturbi del comportamento alimentare nell’adolescente si manifestano in forme particolari, sempre molto individualizzate, tanto da essere talvolta esibite e drammatiche, talaltra sfuggenti. In taluni casi possono passare quasi inosservati in alcuni casi, mentre in altri suscitare una grande ansia in famiglia e non di rado discredito e incomprensione nei confronti del figlio. Ciò che le famiglie non dovrebbero mai fare è colpevolizzare i suoi disturbi come espressioni di “cattiva volontà” o interpretarli come indici di una malattia organica.

“Il pranzo”

Talvolta – come nelle anoressie femminili – il sintomo è massiccio e comporta terrore immediato nei parenti. Altre volte invece, il ragazzo o la ragazza possono avviare una discriminazione selettiva del cibo che la famiglia può interpretare come “capriccio” o “ricatto”, mentre invece è la prima espressione della patologia. Nel caso dell’obesità, in taluni casi la famiglia è complice, perché adotta a sua volta comportamenti bulimici “inflitti” ai figli, i quali diventano così i portatori di una patologia familiare; in altri casi, non meno gravi, la famiglia può non solo colpevolizzare ma anche unirsi al coro della derisione, nell’errata idea che la provocazione aiuti a risolvere il problema. Nel caso della bulimia accompagnata da vomito, il sintomo può restare invisibile per anni, ma può essere individuato dalle “strane” e improvvise assenze del figlio durante il pranzo o la cena e, nei casi già gravi, dal cattivo stato dei denti.

Vediamo ora i sintomi e le classificazioni in generale; di seguito ne parleremo più in particolare.

Anoressia nervosa

Caratteristiche ricorrenti:

  • desiderio di essere sottopeso e severa perdita di peso (al di sotto dell’85% del peso standard)
  • paura di ingrassare
  • preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico
  • amenorrea (mancanza di almeno tre cicli mestruali consecutivi) nelle donne; perdita dell’interesse sessuale e impotenza negli uomini

Si distinguono due sottotipi di anoressia nervosa:

  • anoressia nervosa con restrizione nell’assunzione del cibo
  • anoressia nervosa con abbuffate e condotte di eliminazione (vomito o induzione della diarrea mediante assunzione di lassativi).

Bulimia nervosa

Caratteristiche:

  • abbuffate ricorrenti (consumo di una grande quantità di cibo per un periodo di tempo abbastanza lungo e sensazione di perdita di controllo sull’atto di mangiare)
  • comportamenti di compenso
  • frequenza delle abbuffate e dei comportamenti di compenso (almeno due volte la settimana per tre mesi)
  • preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico

Si distinguono due sottotipi di bulimia nervosa:

  • con condotte di eliminazione (vomito o abuso di lassativi) e indiretta (periodi di digiuno o esercizio fisico ossessivo)
  • senza condotte di eliminazione (e con tratti caratteriali “di accumulo”: pigrizia, malinconia, tendenza depressiva).

Obesità

Caratteristiche:

  • Peso corporeo maggiore del 20% rispetto al peso ideale (calcolato in base all’età, all’altezza, al sesso e al tipo di costituzione della persona)
  • Eccessi alimentari
  • Il cibo diventa l’unica fonte di gratificazione.

Esistono due tipi di obesità:

  • Obesità di sviluppo: si presenta sin dall’infanzia e dipende sia da fattori costituzionali che ambientali (abitudini alimentari familiari).
  • Obesità reattiva: si sviluppa generalmente dopo un trauma emotivo (eventi vissuti dal bambino in traumatico) o in conseguenza di pressioni ambientali alla crescita e umiliazioni di vario tipo (per resistere alla pressione ambientale il bambino regredisce ad uno stadio “orale”: mangia, ingrassa e si rende inabile a qualunque prestazione).

Altri disturbi

Oltre all’anoressia e alla bulimia nervosa, cominciano ad avere molta risonanza sociale altri disturbi del comportamento alimentare:

Ortoressia
consiste in un’attenzione eccessiva e continuativa per i cibi sani (tipo cibi biologici), che può trasformarsi in una vera e propria patologia nervosa, tanto da spingere le persone ad adottare una dieta sempre più rigida fino a eliminare gruppi essenziali di cibi, ritenuti dannosi per l’organismo, e creare carenze gravi per l’organismo.
Vigoressia
è invece una situazione che possiamo descrivere come inversa dell’anoressia in quanto si è costantemente preoccupati di essere troppo magri. Osservata soprattutto nei circoli di body building va tuttavia distinta dal tipico gym-goer in quanto si è disposti a tutto pur di incrementare la massa muscolare. Questo comportamento può portare a conseguenze molto pericolose per la salute.
“Nudo di schiena”

Alcuni soggetti inoltre presentano problemi appartenenti sia alla sfera dei disturbi del sonno che a quella della condotta alimentare e sono i casi che rientrano nel Sleep Eating Disorder o nella Night Eating Syndrome.

Sleep Eating Disorder (SED)
è un disturbo del sonno caratterizzato da episodi ricorrenti di sonnambulismo durante i quali i soggetti fanno abbuffate consistenti per lo più in grandi quantità di cibo ad alto contenuto di zucchero o grassi. Tali pazienti spesso non ricordano questi episodi e questo costituisce un alto rischio di autolesionismo non intenzionale.
Night Eating Syndrome (NES)
è un disturbo in cui i soggetti rifiutano il cibo nella giornata, in genere saltando la colazione e non mangiando fino a mezzogiorno, mentre la sera o la notte fanno un consumo eccessivo di cibo. Tale comportamento rende fallimentari tutti i tentativi di perdere peso, aumenta lo stress e l’ansia influenzando sia la fase di addormentamento (difficoltà ad addormentarsi) che quella del sonno vero e proprio (incubi o risvegli frequenti), nonché – a lungo andare – ad avere problemi a stare svegli durante il giorno o ad addormentarsi nelle situazioni meno indicate.

Disturbi dell’alimentazione e ansia

Esiste una correlazione fra i disturbi alimentari e i disturbi d’ansia?

La mia risposta è affermativa. Il rapporto è certamente di parentela, perché – come ho affermato infinite volte – nell’universo psicopatologico la matrice che genera i vari disturbi è unica ed è il conflitto psichico fra i due bisogni fondamentali, dal quale originano manifestazioni patologiche simili e sempre intercomunicanti.

Per avere una corretta impostazione del problema del rapporto fra disturbi alimentari e DAP occorre innanzitutto conoscere a fondo le caratteristiche dei due disturbi.

Riguardo ai disturbi alimentari dobbiamo porci due domande preliminari:

  • il cibo materialmente che cos’è?
  • Il cibo simbolicamente che cosa rappresenta?

Per rispondere occorre tener conto che:

  1. l’organismo umano ha appreso a distinguere i materiali commestibili da quelli non commestibili, dunque potenzialmente dannosi, nel corso di milioni di anni di evoluzione della specie;
  2. che questo lunghissimo apprendimento è stato memorizzato dalle culture umane, che a loro volta hanno scoperto che gran parte dei materiali classificati come commestibili sono più digeribili e più gustosi se trattati mediante cottura e condimento;
  3. che le varie tradizioni culturali si sono incaricate di codificare e trasmettere questa cultura alimentare nel corso delle generazioni.

Ciò vuol dire semplicemente che nutrirsi – per un essere umano – significa accettare il peso della tradizione alimentare, così come essa viene replicata da ogni singola madre, famiglia, società. Poiché non può esistere un solo bambino che ripeta l’esperienza dell’apprendimento alimentare di specie e dell’invenzione storica della cucina (perché morirebbe di fame prima di essere in grado di distinguere un sasso da una patata), ogni bambino riceve il cibo già fatto – scelto e cucinato dai suoi care givers – e se ne alimenta sulla base della fiducia.

Dunque: il cibo è l’alimento della specie umana; esso è trattato socialmente, e rappresenta il primo imprescindibile rapporto di fiducia che ogni essere umano intrattiene con la sua famiglia e con la società di appartenenza. La conseguenza ovvia è che non appena questo patto di fiducia è messo a rischio, il bambino sperimenta immediati disturbi dell’alimentazione. L’esperienza più precoce e comune è quella delle coliche, delle stitichezze o delle diarree di cui soffre la gran parte dei bambini piccoli, che testimoniano tanto di difficoltà organiche specifiche quando del cattivo rapporto con la prima figura nutrice. Col crescere dell’età, i disturbi alimentari maggiori indicano con sempre maggiore chiarezza l’atto di rottura di questo rapporto di fiducia. Il rapporto di fiducia prodotto da bisogno di integrazione sociale è dunque attaccato dal bisogno di opposizione. Ad esso, come ogni atto di rottura della relazione sociale primaria (nei confronti di genitori, famiglia, gruppo culturale), segue l’immediata reazione di ansia.

“Jeans”

Il disturbo alimentare, dunque, esprime la difficoltà del soggetto a regolare il rapporto fra appartenenza e differenziazione, fra dipendenza e autonomia. In tal senso esso si colloca nella stessa matrice strutturale dei disturbi fobici maggiori (agorafobia, claustrofobia, ipocondria) e conseguentemente dell’attacco di panico. Come nei disturbi alimentari anche nei disturbi fobici il tema centrale è il conflitto interno del soggetto con dipendenze (da persone o valori) sostanzialmente rifiutate ma non espulse – per via dei sensi di colpa – dalla propria vita e dalla propria personalità. Nel panico questo conflitto si arresta di fronte al terrore di essere liberi, nei disturbi alimentari esso investe talora drammaticamente quel campo di battaglia che è il corpo.

In termini statistici l’ansia patologica, le fobie maggiori e il DAP investono circa il 20% della popolazione globale. Di questa quota il 60% circa appartiene alla popolazione femminile.

Data la forte inerenza fra identità femminile e angosce estetiche è facilmente comprensibile la chiara correlazione fra fobie e DAP da una parte e tematiche alimentari dall’altra.

Nella popolazione maschile la correlazione fra disturbi alimentari e ansia è marcatamente minore. I disturbi alimentari di origine psicologica, nei maschi, sono, con larga prevalenza, la bulimia e ormai quasi altrettanto spesso l’ortoressia (un comportamento di controllo alimentare ossessivo che accompagna la vigoressia, cioè l’ossessione del vigore fisico). Più rari gli episodi di esplicita anoressia.

La bulimia è un disturbo alimentare contrassegnato dall’ingestione smodata di cibo, ingestione che avviene sempre secondo una modalità compulsiva, spesso disordinata. Essa si distingue in due tipi principali: la bulimia opposizionistica e la bulimia riparativa. Quella opposizionistica è una ribellione edonistica contro le limitazioni sperimentate in famiglia. Quella riparativa è un atto di compulsivo rabbonimento di istanze di protesta.

La sintomatologia bulimica nel DAP è correlata nella popolazione femminile al passaggio simbolico bambina/donna. La malata di ansia patologica e di comportamenti bulimici è di fatto identificata alla bambina, talvolta per esigenze di ribellione edonistica, talaltra - più spesso - per l’esigenza di mostrare agli altri e a se stessa un aspetto innocuo e marcatamente desessualizzato. Questa sindrome mista (DAP e bulimia) colpisce una quota del 10% circa dell’intera popolazione DAP.

L’anoressia è un rifiuto radicale dell’appartenenza “viscerale”, profonda, a una certa madre, famiglia, società. Essa dimostra che il bisogno di differenziarsi è assoluto, a un punto tale che il soggetto anoressico può spingere la sua protesta fino alla morte. L’anoressia riconosce il suo nucleo fobico nel rifiuto della dipendenza/debolezza rappresentata dal “cedere” al bisogno di cibo, quindi implicitamente ai parenti, al partner, al coniuge.

Nel senso del disturbo DAP l’anoressia investe perlopiù in maniera invisibile e in modo fluido e non strutturato almeno il 20% della popolazione globale, prevalentemente fra le donne. Il perché è chiaro: data la regola, costante in quasi tutte le culture umane, del possesso del corpo femminile da parte della società (a fini produttivi, riproduttivi e di godimento sessuale) è ovvio che il conflitto per l’indipendenza fisica è nettamente maggiore nella popolazione femminile che in quella maschile. E infatti, l’anoressia è un disturbo al 95% femminile e lo si ritrova più o meno presente in buona parte delle della popolazione femminile affetta da una qualche psicopatologia.

La “parentela” fra il DAP e l’anoressia sta nel fatto che come il DAP tematizza la lotta per l’indipendenza al livello della paura della libertà, l’anoressia fisicizza e biologizza la matrice conflittuale. Essa segnala che il conflitto è stato precoce e ha strutturato fantasie di ribellione intransigenti e radicali: il rifiuto della relazione primaria, la sfida nei confronti dell’ambiente mediata da fantasie di scatenamento sessuale e - oggigiorno sempre più spesso - la fantasia di una totale e onnipotente autosufficienza da ogni tipo di relazione e di scambio col mondo.

Il vomiting è una forma mista anoresso-bulimica. Esso consiste nel rituale segreto del vomito dopo l’aver assolto in apparenza ai propri “doveri” alimentari. Si tratta sostanzialmente di una anoresso-bulimia mascherata, e va trattata secondo gli stessi criteri terapeutici.

Dato il particolare tipo di rifiuto e di “segreto” insito nelle pratiche anoressiche e di vomiting è in genere più facile agire mediante la psicoterapia e i gruppi di auto-aiuto con soggetti bulimici che non con soggetti anoressici palesi o mascherati, i quali hanno bisogno di una psicoterapia individuale molto mirata. I soggetti affetti da vomiting, proprio per la presenza in loro di una componente bulimica, sono in genere più disponibili all’intervento terapeutico sia psicologico individuale che gruppale di quelli anoressici “puri”. Nel DAP, in genere, l’anoressia benché non rara è tuttavia fluida e poco marcata, dunque non oppone particolari resistenze né alla psicoterapia né al gruppo. Superati i primi ostacoli, l’intervento psicologico si dimostra sempre di notevole ausilio.

L’anoressia vista da vicino

Esistono patologie a tal punto irriducibili da mettere in gioco la stessa vita: l’anoressia è una di queste. Ragazze appena puberi cessano d’un tratto di crescere, appaiono sempre più magre ed emaciate, a tavola hanno strani comportamenti, il loro carattere diviene chiuso ed evasivo, la fisionomia scheletrica, la pelle ingiallita si ricopre di una fitta peluria, spesso le mestruazioni cessano. Non sono rari i casi nei quali si rischia il ricovero d’urgenza e la morte.

“Ragazza con vestito scintillante”

L’anoressia è di due generi: in uno, la ragazza evita del tutto il cibo; nell’altro, sempre più frequente, ella vive un ciclo bulimia-anoressia nel quale ingurgita grandi quantità di cibo per poi vomitarle, di nascosto, appena possibile. È una patologia in larga prevalenza al femminile nella quale il cibo viene sperimentato come un estraneo, un invasore, un elemento minaccioso del mondo esterno che deve essere rifiutato del tutto o ingerito e vomitato prima della digestione, prima che esso cominci ad essere assimilato divenendo parte dell’organismo.

Con rifiuto del cibo, la ragazza anoressica pone in essere un opposizionismo irriducibile, di solito una lotta contro la madre o comunque contro l’ambiente familiare e contro l’identità femminile che questo ambiente le ha trasmesso. Questo opposizionismo ha la funzione paradossale di difendere l’identità, il nucleo di una indipendenza mai davvero realizzata. L’identità dell’anoressica è infatti poco differenziata rispetto a una madre oppressiva, direttiva o ansiosa; poco differenziata comunque rispetto a un super-io (una coscienza morale interiorizzata) rigido ed esigente.

Per preservare quanto e come possibile la sua minima autonomia, l’anoressica nega o controlla la fame, e mentre in tal modo controlla il corpo ha l’illusione di gestire per intero il suo io, di averne la padronanza, io che è invece sempre più minacciato da quel comportamento riparativo (collegato al senso di colpa) che è la tentazione incessante del cibo (il ritorno alla madre e alla normalità), il cedimento ad esso e, infine, la ripetizione del ciclo.

La terapia si deve muovere su due piani: uno medico, nel quale si salvaguarda – come possibile nel rispetto della volontà della paziente – l’integrità fisica; uno psicologico, nel quale si insegna alla ragazza che non l’ha mai vissuto il difficile esercizio della separazione e dell’autonomia, che nella sua personalità è insidiato da figure genitoriali punitive e da una scarsa competenza esistenziale. L’anoressia colpisce in prevalenza le ragazze perché è collegata ad una educazione, a un codice sociale, che fa del corpo l’unica ragione di vita della donna: nel controllo che di esso hanno i parenti, nella retorica della grazia e della buona educazione, nella mistica della gravidanza e del parto, infine nella dimensione estetica della bellezza e dell’apparenza sociale. Al maschile, l’anoressia è più tarda; riguarda ragazzi già maturi che esprimono col rifiuto del cibo la nostalgia dell’infanzia e il rifiuto di divenire adulti – e aggressivi – in un mondo che intimamente essi rifiutano.

L’anoressia colpisce in prevalenza le ragazze perché è collegata ad una educazione, a un codice sociale, che fa del corpo l’unica ragione di vita della donna: nel controllo che di esso hanno i parenti, nella retorica della grazia e della buona educazione, nella mistica della gravidanza e del parto, infine nella dimensione estetica della bellezza e dell’apparenza sociale. Al maschile, l’anoressia è più tarda; riguarda ragazzi già maturi che esprimono col rifiuto del cibo la nostalgia dell’infanzia e il rifiuto di divenire adulti – e aggressivi – in un mondo che intimamente essi rifiutano.

La bulimia vista da vicino

La bulimia nervosa, come l’anoressia nervosa, colpisce sia gli uomini che le donne. I pazienti maschi sono in genere insicuri e timidi e non fanno attenzione al peso; le pazienti femmine, al contrario, sono costantemente preoccupate della loro figura corporea e del peso. Circa l’1-3% delle donne in età giovanile è affetto da bulimia nervosa; una quota simile è affetta da varianti lievi del disturbo.

La maggior parte delle complicanze fisiche deriva dal comportamento di purificazione. Il vomito autoindotto conduce a erosione dello smalto dei denti incisivi e a ipertrofia non dolorosa delle ghiandole salivari. Occasionalmente si manifestano disturbi idroelettrolitici gravi, specialmente l’ipokaliemia. Molto raramente, durante le abbuffate, lo stomaco si rompe o l’esofago si lacera, portando a complicanze potenzialmente letali. L’abuso a lungo termine di sciroppo di ipecacuana per indursi il vomito può causare una cardiomiopatia.

“Donna a Square Park, Washington”

Le pazienti con bulimia nervosa tendono ad avere maggiore consapevolezza, vergogna, rimorsi e sensi di colpa per i propri comportamenti incontrollati rispetto a quelle con anoressia nervosa, e hanno più probabilità di ammettere le proprie preoccupazioni in un colloquio con un medico o uno psicologo che vada loro a genio. Sono inoltre meno introverse e più inclini ai comportamenti impulsivi, all’abuso di sostanze e alcol e alla depressione.

Una bulimia nervosa può essere sospettata nelle pazienti che esprimono marcate preoccupazioni riguardo all’aumento del peso corporeo e che hanno ampie variazioni di peso, specialmente se vi sono evidenze di un abuso di lassativi o di ipokaliemia inspiegabile. Il sospetto è avvalorato dalla tumefazione delle parotidi, da cicatrici sulle nocche (per il vomito autoindotto), e dalle erosioni dentarie. Tuttavia, una diagnosi certa può basarsi soltanto sulla descrizione da parte della paziente stessa del suo comportamento di abbuffata-eliminazione.

La diagnosi più usuale, secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quarta edizione (DSM-IV), presuppone due episodi di abbuffate a settimana per almeno tre mesi, ma il medico e lo psicologo di buon senso non si faranno costringere in tali rigidi criteri. Tipicamente, gli episodi di bulimia comportano la consumazione rapida di cibo specialmente di tipo ipercalorico, come gelati e dolci. Le abbuffate variano per la quantità di cibo consumato, a volte contenente migliaia di calorie. Tendono a essere episodiche, sono innescate spesso da stress psicosociali, possono verificarsi fino a numerose volte al giorno e vengono compiute in segreto. Sebbene le pazienti bulimiche esprimano la preoccupazione di diventare obese e alcune lo siano, la maggior parte tende a oscillare intorno a un peso corporeo normale o appena sopra la norma.

Gli approcci elettivi al trattamento sono la psicoterapia e, solo nei casi gravi, l’uso di antidepressivi. La psicoterapia ha effetti benefici sia a breve che a lungo termine. Poiché il trattamento richiede perizia ed esperienza, è consigliabile l’invio specialistico.