Nicola Ghezzani

Foto di Nicola Ghezzani

Nicola Ghezzani vive e lavora a Roma. È psicologo, psicoterapeuta, formatore alla psicoterapia e autore di numerosi saggi, articoli, libri. Ha formulato i principi della psicoterapia dialettica. Scrittore da sempre, ha dedicato una parte considerevole del suo lavoro psicologico, terapeutico e di ricerca alle dotazioni psichiche e alla creatività.

Sopravvivere alla propria creatività

Il dramma dell’individuo creativo

Della vita dell’individuo creativo il senso comune conosce solo gli aspetti più bozzettistici e superficiali. La associa alle immagine patinate della moda, del design, della canzonetta di successo o alla retorica del genio dapprima incompreso e poi riconosciuto. Ne ignora l’essenziale.

Fotografia di Cesare Pavese

Non sa se e quanto possano aver sofferto Socrate e Platone per la loro passione politica, Leonardo da Vinci, Galileo Galilei e Giordano Bruno per quella scientifica, Oscar Wilde, Andy Warhol o Gianni Versace per la loro vita eccentrica. Le persone comuni, i comuni “consumatori di cultura”, non toccati da alcuna Musa, non sanno che Socrate venne condannato a morte per aver parlato troppo (lui che pure si era proibito per tutta la vita di parlare in pubblico); che Platone dovette fuggire dalla Sicilia per la sua attività politica; che Leonardo da Vinci visse tutta la vita nascondendo gli eccezionali risultati della sua ricerca scientifica, soprattutto in materia di anatomia; che Galileo, perseguitato dall’Inquisizione cattolica, venne salvato per una serie di circostanze fortuite dalla condanna a morte; che Giordano Bruno venne incarcerato, torturato e arso vivo; che Wilde fu incarcerato per oltre due anni per il suo amore per un giovane aristocratico, dopo di che morì in miseria; che Andy Warhol subì un attentato da parte della femminista lesbica Valerie Solanas per le conseguenze del quale morì alcuni anni dopo; e che Versace fu assassinato in circostanze ancora misteriose forse da un suo ex amante.

La creatività, lungi dall’essere una graziosa fortuna, è il più delle volte una vera maledizione. E ciò almeno per due motivi. Innanzitutto perché è una qualità rara e come tale né è stata compresa fino in fondo, né sono maturate nel corso della storia solide discipline psicologiche e pedagogiche per la sua salvaguardia e la sua gestione. In secondo luogo perché, generando nuove idee e visioni del mondo, nuovi valori e nuove etiche comportamentali, essa è stata sistematicamente sottoposta a giudizi dubbiosi e più o meno esplicite condanne da parte della popolazione media e delle sue istituzioni.

Ma persino più grave della diffidenza sociale è la tendenza di molti individui dotati al masochismo morale1, la singolare attitudine a punirsi che caratterizza persone affette da bassa autostima e dubbi ossessivi e depressivi su di sé.

Da dove nasce il masochismo morale dell’individuo dotato?

Fotografia di Ernest Hemingway

Ebbene, la diffidenza e non di rado la condanna da parte dell’ambiente sociale medio nei confronti della creatività è tale che l’individuo dotato la interiorizza e la integra nella struttura del suo Super-io, la sua coscienza morale. Spesso, da bambino egli è stato incompreso, diffidato, osteggiato; se era un timido è stato denigrato o costretto ad essere forte o brillante e socievole; se era aperto e dinamico è stato costretto invece alla continenza e alla morigeratezza, e così via, in un elenco che sarebbe triste ricordare. Incompreso è stato costretto a vivere essere “contro natura”, negando le sue qualità più specifiche. Per cui, sin dalla più tenera infanzia, egli si è sentito distonico rispetto ai ritmi e ai modi dei suoi familiari, colpevole di disattenderne le aspettative, inadeguato alla relazione sociale generica, incapace di farsi comprendere dalla società. La sua vita è stata spesso un lungo calvario, un martirio.

A questo proposito, vi ricordo solo alcune delle persone di genio morte per un suicidio di tipo depressivo: Francesco Borromini, Gerard de Nerval, Heinrich von Kleist, Vincent van Gogh, Virginia Woolf, Jack London, Emilio Salgari, Cesare Pavese, Mark Rothko, Ernest Hemingway, Ernst Ludwig Kirchner, Primo Levi, Paul Celan, Alfred Jarry, Vladimir Majakovski, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Walter Benjamin, Nicolas de Staël, Marilyn Monroe, Alan Turing, Arshile Gorky, Yasunari Kawabata, Yukio Mishima, Sylvia Plath, Anne Sexton, Alighiero Noschese, David Foster Wallace... e mille altre. Per non parlare di tutti coloro che sono morti per suicidi indiretti (abuso di sostanze stupefacenti, alcool, frequentazioni marginali, ecc...) e per gravi malattie sopraggiunte a causa di condotte antisociali e tendenze autolesioniste. Altro che fuga dei cervelli! Questo è un vero e proprio genocidio dei migliori!

L’uscita dal senso comune

Ma perché l’individuo creativo si sente e, non di rado, si vuole così male?

Vediamo come si presenta alla nascita quello che sarà un adulto creativo. Ebbene, con ogni probabilità si tratta di un bambino con una fine empatia, dotato di grande sensibilità e capacità di sentire e intuire le motivazioni altrui. Questa dote – come ogni dote – è tanto un beneficio quanto un maleficio. La capacità di identificarsi e intuire i sentimenti e i pensieri dell’adulto fa del bambino dotato un bambino a rischio.

Qualora nasca in ambienti contraddittori, egli sarà segnato da quella contraddizione più a fondo di quanto non accada a bambini meno sensibili. Egli può avvertire una depressione materna ed essere sollecitato a servirla, a rendersi schiavo delle esigenze della madre per non deluderla e sentirsene abbandonato2. Ma può anche diventare ipercinetico e perso nelle sue fantasie, allo scopo di allontanarsi dallo stimolo patogeno e sviluppare nello spazio o nel pensiero una sua identità differenziata. E in entrambi i casi può ricavare punizioni dirette o sviluppare un intimo senso di colpa. Può avvertire che la bontà dei genitori è contraddetta da loro comportamenti cinici in ambito sociale, per esempio il maltrattamento dei sottoposti in ufficio da parte del padre, oppure la freddezza con la quale la madre tratta la domestica o l’indifferenza con cui si approcciano alla sofferenza di sconosciuti o degli animali ecc. Anche in questo caso il suo giudizio brancola fra opposti: può amare i suoi genitori e tuttavia condannare il loro comportamento, trovandosi così di fronte a un conflitto di affetti che lo vede soccombere al senso di colpa. I casi, naturalmente, sono infiniti. Ve ne sono di altamente simbolici: un bambino ama la madre, ma resta sconvolto nel vederla scherzare col macellaio mentre acquista i resti, appesi nel locale, di un animale squartato da cucinare...

Fotografia di Virgina Woolf

La divergenza che il bambino esprime nei confronti del contesto può essere di natura empatica ed esprimersi in una sensibilità morale altamente critica; o può riguardare un pensiero divergente rispetto al contesto (attitudini istintive alla riflessione filosofica in un ambiente pragmatico o abilità pratiche in un pretenzioso ambiente borghese...)

La mia ipotesi generale – espressa ormai da una trentina d’anni – è che i disturbi psichici dipendano tutti da un conflitto psicodinamico soggiacente; e che in molti di essi (con elevata frequenza) il conflitto di base dipenda da una intensa empatia che porta il soggetto a cogliere le disarmonie emotive e valoriali dell’ambiente senza trovarvi una soluzione; in altri casi (con minore frequenza) che il conflitto dipenda da una sensibilità morale critica rispetto al contesto; in altri casi ancora (minoritari, ma non rari) che il conflitto dipenda da una intelligenza e un pensiero (analitici o creativi) divergenti dal contesto. La repressione e la colpevolizzazione precoce o sistematica di queste attitudini genera patologie più o meno gravi.

Proviamo a immaginare cosa può accadere a un individuo di tal genere, già problematico, una volta che sia sopravvissuto all’infanzia e sia diventato un adulto creativo.

Con ogni probabilità egli ha disperatamente inibito la maturazione di attitudini che sente scomode, provocandosi dolore e patologia, perché inibire l’empatia, la sensibilità, l’intelligenza significa andare contro natura né più e né meno di quanto accade inibendo la vita corporea. Oppure ha sviluppato le sue attitudini ma, avendone paura e vergogna, le ha nascoste, trasformandosi in una persona falsa e artificiosa. Oppure le ha sviluppate e ne ha fatto motivo di esibizione grandiosa e maniacale, facendo scelte di vita pericolose e comunque false. In entrambi risulta casi è “fuori registro” rispetto all’ambiente e a se stesso. Ciò che egli sperimenta di giorno in giorno è l’uscita dalla mentalità originaria, dal senso comune che lo ha accompagnato dalla nascita. E questa uscita non è senza conseguenze. Egli si vergogna e si sente colpevole del suo singolare statuto di individuo interno a un gruppo eppure anche esterno, inadeguato ad esso. A questo punto egli ha ormai aperto le porte di una molteplicità di forme di mistificazione, occultamento, autodenigrazione, provocazione, ribellione, conflitto, autolesionismo morale e fisico.

Pensiamo a qualche circostanza storica esemplare: la critica morale di Socrate verso la dittatura “democratica” di Atene; la divergenza politica di Cesare rispetto al senato romano; l’eresia religiosa di Gesù nei confronti del sinedrio ebraico; le rivoluzionarie scoperte scientifiche di Galileo e Darwin a confronto con ambienti religiosi retrivi; la dissidenza civica di Dostoevskij o di Solgenitsin nei confronti dei loro regimi politici; le critiche morali di Rousseau e Nietzsche nei confronti dei loro ambienti sociali... Il risultato? Socrate fu condannato a morte dopo una vita di inibizione sociale; Cesare venne assassinato; Gesù, dopo la crisi depressiva del Getsemani, venne crocifisso; Galileo venne perseguitato dall’inquisizione cattolica e morì depresso; Darwin, accusato dalle chiese cristiane di ogni confessione, soffrì di ansia, disturbi intestinali e depressione; Dostoevskij fu un giocatore compulsivo e un ipocondriaco grave; Solgenitsin fu affetto da crisi depressivo-maniacali; Rousseau e Nietzsche svilupparono un delirio persecutorio. Tutti geni della critica morale e della innovazione dei valori.

Istruzioni per sopravvivere alla propria creatività

Si può essere creativi eppure salvarsi la vita?

Naturalmente sì, come dimostrano i non pochi artisti, filosofi, scienziati, o gli individui anonimi di cui non sappiamo nulla ma che pure hanno condotto vite esemplari sul piano di una loro lotta privata, che sono riusciti non solo a sopravvivere all’infanzia ma anche a condurre una vita felice. Il loro successo esistenziale è dovuto in parte al caso, ma in parte anche al loro ingegno, che ha saputo destreggiarsi con astuzia, conservando la purezza dell’intenzione originaria.

Fotografia di Marilyn Monroe

Ma cosa fare nel caso in cui la persona soffre e non vede una via d’uscita?

Se è un bambino, devono agire gli adulti. Si tratta innanzitutto di individuare l’agente familiare o sociale persecutorio. C’è sempre nel contesto di vita di un bambino dotato in preda alla sofferenza – anche nei suoi primi anni di vita, quando è solo un bambino sensibile – una figura nutrice che lo disturba e talvolta lo perseguita. Una madre che lo prende e lo lascia con freddezza, lo vezzeggia e poi lo abbandona; o una che lo ricopre di ansiose premure e poi si ritira nella sua depressione; o un padre che non sopporta la sua innocenza o il suo aspetto fine e delicato o il suo attivismo intenso e rumoroso. Oppure c’è una maestra che lo costringe a socializzare, che lo rende ridicolo per il suo mutismo o la sua ritrosia; o un insegnante che lo invidia per la sua purezza d’animo e gli fa domande difficili per il gusto di vederlo cadere; o una professoressa senza figli e votata all’insegnamento che lo sceglie come figlio elettivo, gli chiede prestazioni inumane e lo rende inviso ai compagni. La casistica è infinita e va studiata caso per caso.

Ogni volta che siamo in grado di fare un’analisi dell’ambiente, il bambino va separato come possibile dall’agente persecutorio. Poi, una volta che il bambino sia stato ristabilito nella sua dignità e consolato, vanno individuate le caratteristiche che sono state ferite e vanno “curate”: proprio nel senso che vanno gestite con il favore che non hanno mai ricevuto.

Ma anche l’adulto creativo, pur sopravvissuto alla sua difficile infanzia, può aver riportato ferite invisibili, che si riattiveranno col passare degli anni. Di che ferite si tratta? Sono ferite dovute alla amara consapevolezza di una esclusione radicale. Il sentimento di esclusione dell’individuo creativo genera innanzitutto punizioni inconsce che egli si somministra nella forma di insicurezze, vergogne, frustrazioni, che lo assediano; quindi di sintomi che presidiano l’io per impedirgli la manifestazione della rabbia ribelle o l’esposizione diretta delle qualità, che potrebbero essere condannate dall’ambiente e distrutte.

Nel caso dell’adulto, occorre individuare l’agente persecutorio interno, cioè il “nemico dentro di lui”, che può portarlo a farsi male in mille modi diversi.

L’ultimo passaggio è forse il più difficile, anche perché è il meno valutato e studiato dal punto di vista psicologico. Si tratta di attivare le sinergie affettive e sociali positive, le provvidenze ambientali: scoprire cioè quali persone, situazioni, ambienti, culture, amicizie, amori, comunità possono capire e accogliere le qualità specifiche dell’individuo creativo.

La liberazione dai limiti imposti dall’ambente o dal proprio stesso Super-io è destinata a restare muta se l’individuo non trova il contatto dialogico vitalizzante con un interlocutore unico o multiplo che lo accolga e lo favorisca. D’altra parte, come è intuibile, le provvidenze ambientali, per ciascuno, ma soprattutto per l’individuo dotato, sono rare e preziose, e nel corso della vita potrebbero mancare sempre e non essere mai rinvenute. È la mancanza di contatto dialogico che conferisce ad alcune personalità quel senso di irredimibile solitudine e di fallimento esistenziale che le contrassegna. L’incontro tuttavia è ineludibile, “nessuno si salva da solo”. È soltanto l’incontro dialogico – e dunque l’affinità, l’amicizia, l’amore, il favore collettivo, l’intelligenza del cuore in qualunque forma si manifesti – a riattivare quel processo maturativo che ho chiamato melodia cinetica (in 2), che rende effettive le qualità individuali e fa sì che la vita sia degna di essere vissuta.


Note

  1. A proposito del masochismo morale e della tendenza a punirsi, leggi 1.
  2. Una dinamica messa in luce alla perfezione, già dagli anni 50 del secolo scorso, da psichiatri e psicologi illuminati: cito Silvano Arieti, Donald Winnicott, Ronald Laing, Alice Miller.

Bibliografia

  1. Nicola Ghezzani, Volersi male, Franco Angeli, Milano, 2002.
  2. Nicola Ghezzani, Grammatica dell’amore, Marietti, Torino, 2012.